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Scopriamo assieme lโutilissima configurazione SEPIC usata nei moderni converter per alimentazione mista.ย
Grazie alla disponibilitร di un numero sempre maggiore di integrati specializzati che realizzano, con lโausilio di pochissimi componenti esterni, dei completi e validi regolatori di tensione, oggi la tecnologia switching รจ quella piรน affermata quando si tratta di ricavare lโalimentazione per vari tipi di circuito o apparato; i โlineariโ sono ormai riservati a circuiti di nicchia come gli amplificatori dโingresso a bassissimo rumore, amplificatori per uso medicale e audio in tecnologia analogica.
Le soluzioni switching (a commutazione) vengono proposte in diverse varianti ma in questo articolo vogliamo segnalare, dopo una breve introduzione sulle tipologie di regolatori destinati allโalimentazione delle schede elettroniche, una tipologia di convertitore switching relativamente poco conosciuta ma molto utile in particolar modo per lโalimentazione a sorgenti miste (batteria+rete): si tratta della Sepic.
Tipologie di regolatori di tensione
Prima di entrare nel merito, facciamo una breve panoramica sulle tipologie di regolatori disponibili, che si dividono principalmente in due categorie:
โข Regolatori lineari
โข Alimentatori switching
I regolatori lineari
Sono stati i primi regolatori, inizialmente sviluppati con componenti discreti (transistor bipolari) e successivamente sostituiti da circuiti integrati specializzati.
I lineari esistono in configurazione serie e parallela, anche se la piรน usata รจ la prima. I piรน noti ed utilizzati regolatori lineari serie furono i famosi 78xx, dove xx indica la tensione in uscita: ad esempio il regolatore 7805 fornisce una tensione stabilizzata di 5 volt. Questi componenti sono ancora utilizzati e da essi derivano praticamente tutti i moderni integrati di alimentazione lineari; la loro configurazione รจ quella del regolatore โserieโ, cosรฌ detto perchรฉ si basa su un transistor posto in serie al carico, che fa cadere su di sรฉ la differenza tra la tensione dโingresso e quella dโuscita.
I regolatori di tensione del genere sono realizzati in innumerevoli versioni, che si differenziano sia per la corrente che sono in grado di sopportare, sia, piรน recentemente, per la caduta di tensione tra ingresso e uscita: il cosiddetti drop-out; i piรน apprezzati sono i regolatori LDO (Low Drop-Out), regolatori a bassa caduta, che permettono di ottenere, ad esempio, i 5 volt partendo da una tensione dโingresso di soli 6-6,5 volt.
La tipica configurazione di un regolatore serie รจ quella mostrata nella Fig. 1, che riporta un canonico regolatore positivo (cioรจ per alimentazioni positive rispetto a massa) con transistor NPN (Q) configurato a collettore comune, polarizzato in base alla tensione stabilizzata da un diodo Zener e che alimenta il carico (R2, nello schema) tramite lโemettitore.
In questo semplicissimo schema, la tensione viene stabilizzata dal diodo Zene DZ, mentre il transistor Q, in configurazione ad emitter-follower, funziona da amplificatore di corrente fornendo una tensione pari a quella dello Zener, diminuita della sua Vbe, migliorando la stabilitร della tensione sul carico grazie al fatto che puรฒ erogare correnti relativamente alte con minime deviazioni della tensione.
I regolatori integrati moderni sono molto piรน complessi dello schema di Fig. 1 e contengono elementi in grado di migliorare la stabilitร della tensione in uscita grazie a meccanismi di retroazione ed altro; il principio perรฒ rimane identico, ed altrettanto รจ per il principale difetto di questa tipologia: tutta la corrente richiesta in uscita scorre attraverso il transistor, ai capi del quale deve cadere la differenza tra la tensione presente allโingresso e quella in uscita.
Vediamo il significato con un esempio pratico: in uscita abbiamo bisogno di una tensione stabilizzata di 5 volt e una corrente di 1 ampere, partendo da una tensione di ingresso di 9 volt; in questo caso sul transistor devono cadere 9-5=4 volt. Il nostro transistor si trova quindi a dissipare in calore una potenza pari a:
P = 4 V โข 1 A = 4 W
Una potenza non trascurabile, considerando che quella fornita in uscita รจ di 5Vx1A= 5 watt. Una tale dissipazione impone di norma lโadozione di un dissipatore di calore per il transistor, il che significa spazio occupato sul circuito stampato, il costo del dissipatore e peso in piรน.
Per non parlare del fatto che la perdita di potenza sul transistor peggiora lโefficienza del regolatore; infatti lโefficienza, ovvero il rapporto tra la potenza fornita in uscita e quella assorbita in ingresso รจ pari a:
E = 5W / 9W = 0,55 = 55%
Quindi giร relativamente bassa; il 45% della potenza disponibile viene dissipata in calore.
Se poi volessimo alimentare il nostro circuito con una tensione di 12 volt, sempre con 5 volt in uscita, avremmo una caduta sul transistor pari a 12-5=7 volt, ed una conseguente dissipazione pari a:
P = 7 V โข 1 A = 7 W
cui corrisponde unโefficienza pari a:
E = 5W / 12W = 0,42 = 42%
Quindi, oltre a dover aumentare la dimensione del dissipatore, vediamo calare lโefficienza, con quasi il 60% dellโenergia fornita sprecata in calore.
Ovviamente aumentando ulteriormente la tensione in ingresso le cose peggiorano; se dovessimo, come nel nostro caso, accettare 24 volt in ingresso, sul transistor avremmo una caduta pari a 24-5=19 V, con una dissipazione di 19 watt ed unโefficienza pari al 21% scarso, sprecando quindi in calore quasi lโ80% dellโenergia a disposizione (quindi otterremmo unโottima stufetta da banco per i freddi pomeriggi invernali…).
Da queste considerazioni si evince che i regolatori lineari, per quanto economici, sono adatti solo per piccole differenze di tensione tra ingresso e uscita; non possono, inoltre, aumentare la tensione in ingresso ma solo ridurla, quindi sarebbe impossibile ottenere 5 volt con unโalimentazione da una batteria da 3-4 volt.
I regolatori lineari, pur con tanti svantaggi, hanno perรฒ un grosso pregio: non lavorando in commutazione, non generano disturbi impulsivi nรฉ ripple (residui di commutazione e del filtraggio della tensione pulsata che affligge gli switching); sono quindi ideali, come detto, per gli amplificatori di piccoli segnali e per lโaudio.
Alimentatori switching
Gli alimentatori switching (a commutazione, in italiano…) funzionano secondo un principio totalmente diverso; trasformano i parametri della potenza trasferendola dallโingresso allโuscita sotto forma di impulsi, che poi vengono applicati ad un condensatore ai cui capi si ottiene una tensione il cui valore continuo รจ pari al valore medio della forma dโonda costituita dagli impulsi.
Rispetto ai lineari hanno due grandi vantaggi: consentono -allโoccorrenza- di ottenere tensioni dโuscita piรน elevate di quelle di ingresso e garantiscono unโefficienza piรน elevata, indipendente dalla tensione dโingresso; questโultima caratteristica si deve al fatto che la conversione della tensione in impulsi si ottiene con transistor che lavorano come interruttori statici invece che come amplificatori e che quindi, anche ad elevate correnti, dissipano una potenza minima.
Degli switching ci interessa una particolare categoria che รจ quella piรน usata, ossia il tipo a carica dโinduttanza; semplificando molto, questo โaccumulaโ in unโinduttanza una certa energia prelevata dallโingresso e la rilascia allโuscita, con unโefficienza teorica di poco inferiore al 100%.
In Fig. 2 vediamo uno schema di principio di un alimentatore switching in grado di ridurre la tensione in ingresso, analogamente a quanto faceva il regolatore lineare di cui abbiamo detto prima; lโinterruttore in figura รจ ovviamente sostituito da un transistor, quasi sempre un MOSFET, ma il circuito รจ idealmente realizzabile anche con soli componenti meccanici, fermi restando i limiti nella velocitร di commutazione.
Quando lโinterruttore si chiude, la corrente non passa attraverso il diodo (che risulta polarizzato inversamente, avendo al catodo una tensione positiva) e va a caricare lโinduttanza; aprendo lโinterruttore, lโinduttanza cerca di mantenere costante la corrente che lโattraversa, quindi la corrente fluisce attraverso il diodo ed il carico, come negli schemi mostrati nella Fig. 3 e nella Fig. 4.
Le due fasi del funzionamento sono quindi:
โข interruttore chiuso; la corrente fluisce dal generatore al carico, passando attraverso lโinduttore che viene quindi caricato; il diodo risulta polarizzato inversamente e quindi non conduce;
โข interruttore aperto; lโinduttanza si scarica attraverso il carico ed il diodo che in questo caso risulta polarizzato direttamente.
Facciamo ora un poโ di teoria su questo tipo di convertitore, in modo da familiarizzare nei limiti dellโarticolo con il funzionamento e la terminologia.
Innanzitutto partiamo dal presupposto che la tensione in uscita in un dato istante sia quella richiesta, Vo, mentre quella in ingresso sia Vi.
Dallo schema si evince che in quellโistante la tensione ai capi dellโinduttanza sia pari a Vi-Vo ad interruttore chiuso e pari a Vo (salvo la caduta Vd sul diodo che al momento trascuriamo) ad interruttore aperto.
Immaginiamo anche, cosa realistica per carichi non troppo bassi, che la corrente nellโinduttanza non vada mai a zero, e che quindi il convertitore funzioni in modalitร continua (CCM).
La trattazione per la modalitร discontinua, ovvero nel caso che la corrente nellโinduttanza vada a zero, รจ piรน complicata e quindi la eviteremo.
La relazione che lega corrente e tensione ai capi dellโinduttanza รจ la seguente:
che indica che la tensione ai capi dellโinduttanza รจ uguale al suo valore moltiplicato per la variazione della corrente nel tempo.
Invertendo lโequazione ed integrandola, si ottiene per il periodo in cui lโinterruttore รจ chiuso:
E per il periodo in cui lโinterruttore รจ aperto:
Da queste due equazioni si nota che durante il tempo di chiusura dellโinterruttore la corrente nellโinduttanza cresce proporzionalmente alla differenza tra tensione in ingresso ed in uscita (Vi-Vo) ed al tempo di chiusura dellโinterruttore ed inversamente con il valore dellโinduttanza.
Semplificando, piรน sono grandi la differenza tra Vi e Vo ed il tempo di chiusura e piรน lโinduttanza รจ piccola piรน la corrente nella medesima cresce.
Durante il tempo di apertura dellโinterruttore, per contro, lโinduttanza si scarica (segno meno davanti a Vo nellโequazione) proporzionalmente alla tensione in uscita ed inversamente con il valore dellโinduttanza. Unโaspetto che salta allโocchio rapidamente รจ che piรน รจ grande lโinduttanza e meno la corrente nella stessa cresce, il che si traduce in meno โsforziโ nei circuiti che la circondano, ma ad una grossa induttanza corrispondono dimensioni maggiori e/o perdite maggiori dovute alla resistenza del filo con cui รจ costituita, di cui parleremo in seguito.
Avendo considerato lโipotesi di regime stazionario, ovvero tensione in uscita costante e corrente nellโinduttanza mai nulla, avremo che la corrente accumulata durante la chiusura dellโinterruttore dovrร essere rilasciata esattamente e per intero durante lโapertura dellโinterruttore; possiamo quindi scrivere:
Ovvero, sostituendo con quanto ricavato prima:
Siccome a noi interessa calcolare il valore della tensione in uscita in base ai tempi di chiusura ed apertura dellโinterruttore, risolviamo per Vo :
E, chiamando D il duty-cycle dellโinterruttore, ovvero il rapporto tra tempo in cui rimane chiuso ed il tempo totale:
Possiamo scrivere lโequazione finale del nostro convertitore:
Si noti che il duty-cyle D puรฒ avere valori compresi tra 0 e 1, quindi la tensione in uscita puรฒ essere inferiore o uguale a quella di ingresso, ma mai superiore, con questa tipologia di convertitore.
Per chi conosce un poโ il mondo Arduino e le sue uscite in PWM, รจ facile pensare ad utilizzare al posto dellโinterruttore un MOSFET ed applicarvi al gate unโonda quadra fornita da unโuscita di Arduino. Scegliendo un valore di D del 25%, ad esempio, otteniamo in uscita un quarto della tensione in ingresso.
Qualcuno avrร notato che nella nostra bellissima e semplicissima equazione รจ misteriosamente sparita lโinduttanza L, che quindi non va ad influenzare il valore della tensione in uscita in alcun modo.
Possiamo quindi scegliere un valore qualsiasi per L? In teoria si, se non ci interessassero altri fattori e, soprattutto, se lโinduttanza fosse ideale, ovvero senza alcuna resistenza elettrica nel filo che la compone.
Abbiamo infatti visto sopra che la corrente nellโinduttanza (e quindi in buona parte del circuito) cresce piรน rapidamente con il diminuire dellโinduttanza stessa e con lโaumento del tempo di chiusura.
Quindi per bassi valori dellโinduttanza e/o lunghi tempi di chiusura dellโinterruttore la corrente crescerร molto, col rischio di danneggiare i componenti stessi; inoltre grosse variazioni della corrente corrispondono a grossi disturbi elettromagnetici generati dal circuito e che vanno a finire nellโapparecchio alimentato.
Per contro, se aumentiamo troppo lโinduttanza questa avrร una resistenza dovuta al filo piuttosto elevata (piรน alto รจ il valore e piรน spire di filo servono) il che comporterร perdite di energia trasformata in calore ed una conseguente diminuzione di efficienza del convertitore, oltre che a dimensioni piรน elevate.
Si nota inoltre che a paritร di condizioni (induttanza e valori Vi e Vo) diminuendo i tempi di chiusura ed apertura la corrente si mantiene piรน bassa. Una diminuzione dei tempi di apertura e chiusura (mantenendo D costante) corrisponde perรฒ ad un aumento della frequenza di commutazione; parrebbe quindi ottimale scegliere unโinduttanza piccola ed una frequenza il piรน elevata possibile.
Purtroppo, per quanto si tenti di fare il piรน possibile, sfruttando i moderni componenti elettronici, esistono dei limiti invalicabili sia per la frequenza con cui possono operare i medesimi sia a causa delle perdite di commutazione dovute allโimpossibilitร di unโazione istantanea.
Anche qui occorre un compromesso tra frequenza elevata e possibilitร offerte dai componenti a disposizione; se per un convertitore a componenti discreti giร raggiungere e superare le poche centinaia di kHz di frequenza era una cosa straordinaria, con i moderni circuiti integrati si riescono a raggiungere frequenze superiori al MHz e, negli ultimi anni, persino superiori ai 3 MHz.
Questo si traduce in una maggior compattezza degli alimentatori, maggiore efficienza e minor costo, a costo di una maggior attenzione necessaria nella disposizione dei componenti sul PCB, come vedremo nella seconda puntata, nella quale presenteremo un circuito pratico di converter.
Efficienza del convertitore switching
Analizzando il circuito ideale di cui abbiamo scritto finora, la prima cosa che salta allโocchio รจ che in esso non sono presenti componenti resistive: lโenergia fornita dallโalimentatore va a caricare unโinduttanza ideale, quindi priva di resistenza ohmica, la quale poi si scarica sul carico attraverso il medesimo e il diodo, immaginato anchโesso come ideale.
Quindi tutta lโenergia prelevata dal generatore viene trasmessa al carico con unโefficienza del 100%.
Un bel salto di qualitร rispetto al 60-40-20% del regolatore lineare!
Purtroppo i componenti ideali non esistono: lโinduttanza รจ costituita da un filo di rame con una certa resistenza, il diodo -anche selezionandolo accuratamente- ha una certa caduta di tensione ai suoi capi, le stesse piste del PCB sono in rame e quindi affette da resistenza elettrica e lโinterruttore, costituito nel 99% dei casi da un MOSFET, ha una pur minima resistenza dโinserzione.
Infatti per quanto la tecnologia di questi componenti abbia fatto progressi enormi negli ultimi decenni, il MOSFET ha una resistenza ohmica tra drain e source ed un tempo di commutazione non nulli.
Questo si traduce in una perdita di efficienza, il cui calcolo esula dallo scopo del presente articolo, che รจ comunque facilmente verificabile misurando la corrente assorbita e quella fornita al carico.
La potenza assorbita รจ infatti, pari a:
mentre la potenza restituita al carico รจ pari a:
E lโefficienza รจ data da:
Nelle condizioni reali del nostro convertitore si ha sempre Po < Pi e quindi unโefficienza inferiore al 100% teorico. Vedremo i valori in gioco quando parleremo del nostro circuito reale.
Il ripple
Abbiamo visto finora come il nostro convertitore sfrutta lโinduttanza per immagazzinare energia che viene poi restituita al carico ad una tensione diversa, e lo fa, a differenza dei regolatori lineari visti in precedenza, tramite un meccanismo di commutazione.
ร quindi ovvio che, tra tutti i pregi del nostro convertitore, un grosso difetto appare: alla tensione continua in uscita troviamo, sovrapposta, una tensione variabile piรน o meno piccola, detta ripple.
Quanto essa รจ piccola, dipende principalmente dal valore della capacitร in uscita e dalla frequenza di commutazione; piรน alti saranno i valori dei suddetti parametri e minore sarร il ripple, con le problematiche che abbiamo visto prima, ovvero capacitร ingombrante ed altri problemi se si aumenta il condensatore e problemi di commutazione/limiti tecnologici se si aumenta la frequenza.
Anche lโinduttanza ed altri parametri influenzano il ripple. Occorre quindi il solito compromesso tra i valori, e per questo รจ necessario quantificare il ripple e decidere se รจ o meno un valore accettabile.
Purtroppo un calcolo preciso del ripple รจ piuttosto complicato, e lo vedremo abbastanza in dettaglio nello schema definitivo; al momento basti sapere che aumentando la capacitร e/o la frequenza il ripple diminuisce.
Aumentare la tensione in ingresso
Il convertitore switching visto finora รจ in grado di diminuire la tensione del generatore per portarla a quella necessaria al carico, vale a dire di ricavare una tensione dโuscita inferiore a quella di ingresso; viene, perciรฒ, definito โstep-downโ (abbassatore). Esso va benissimo se, per esempio, abbiamo come fonte di alimentazione principale una batteria a 12 volt e vogliamo ottenere 5 volt in uscita.
Ma cosa succede se lโesigenza รจ inversa, ovvero abbiamo, per esempio, una batteria LiPo in grado di fornire una tensione compresa tra 3 e 4 volt circa ed abbiamo bisogno dei fatidici 5 volt?
In questo caso ci viene in aiuto unโaltra tipologia di convertitore switching chiamata boost converter, ovvero un convertitore โstep-upโ (elevatore).
Come si vede nella Fig. 5, che lo schematizza, la differenza rispetto allo schema di principio precedente รจ che lโinduttanza si trova prima dellโinterruttore e che questโultimo la cortocircuita verso massa.
Le due fasi di funzionamento sono:
โข interruttore chiuso; la corrente fluisce dal generatore (tensione applicata allโingresso del converter) nellโinduttanza, caricandola (Fig. 6);
โข interruttore aperto; lโinduttanza cerca di mantenere il flusso di corrente di quando lโinterruttore era chiuso, reagendo allโapertura con unโextratensione inversa che trova sfogo nel condensatore e che fluisce nello stesso verso, caricando la capacitร con polaritร positiva sul catodo del diodo.
Riassumendo, quando lโinterruttore รจ chiuso tutta la corrente fornita dal generatore va a caricare lโinduttanza, mentre il carico รจ alimentato solo dal condensatore di uscita, mentre ad interruttore aperto lโinduttanza si trova in serie al generatore e quindi la tensione ai suoi capi va a sommarsi a quella del generatore stesso, aumentandola.
Il diodo serve, nelle fasi in cui lโinterruttore รจ chiuso e lโinduttanza in carica, ad evitare che il condensatore venga scaricato dallโinterruttore stesso.
Senza ripetere i calcoli precedenti, e sempre sotto le medesime ipotesi, lโequazione per calcolare la tensione in uscita diventa:
Poichรจ D รจ sempre inferiore a 1 (il duty-cycle …ricordate?) la tensione in uscita sarร sempre maggiore di quella in ingresso.
Tensione in uscita compresa tra la minima e la massima in ingresso
Abbiamo fin qui visto due tipologie di convertitori, uno in grado di diminuire la tensione in ingresso (buck converter) e lโaltro in grado di aumentarla (boost converter).
Cosa succede, perรฒ, se abbiamo bisogno di una tensione in uscita intermedia? Per esempio, se vogliamo alimentare il nostro apparecchio a 5 volt ed abbiamo a disposizione a volte una batteria LiPo da 4,2 V e altre un alimentatore esterno da 12 volt, oppure abbiamo un circuito che funziona a 3,3 volt e dobbiamo alimentarlo con una LiPo che fornisce 4,2 volt quando รจ completamente carica e 3 volt quando รจ quasi scarica?
Una soluzione immediata รจ utilizzare due convertitori, selezionando tramite un commutatore (manuale o elettronico) quello da usare di volta in volta; la soluzione -tuttavia- รจ piuttosto macchinosa e problematica.
Unโaltra alternativa รจ usare un convertitore boost per portare la tensione in ingresso al valore massimo accettato e poi un buck in cascata per riportarla a 5 volt. Nel nostro caso avremmo:
Anche questa soluzione รจ macchinosa, utilizza due convertitori completi e raddoppia le perdite di potenza, diminuendo lโefficienza complessiva.
Esistono convertitori buck-boost che permettono di ottenere tensioni in uscita qualsiasi ma, se non sono isolati da un trasformatore, le ottengono con polaritร inversa rispetto a quella in ingresso, il che spesso รจ inaccettabile.
Tra le varie tipologie implementate, ne รจ recentemente emersa una, chiamata SEPIC, principalmente spinta dallโavvento delle batterie LiPo, le quali, come appena detto, forniscono una tensione che a piena carica รจ di 4,2 V e a fine carica scende anche sotto i 3 volt; รจ nata per alimentare dispositivi che richiedono 3,3 volt, ossia una tensione compresa fra questi valori.
Anche qui ci troviamo nel caso di una tensione in uscita intermedia tra i valori possibili in ingresso, anche se la finestra รจ meno ampia.
Il convertitore SEPIC
Lo schema di principio del convertitore DC/DC SEPIC รจ illustrato nella Fig. 8: rispetto ai convertitori visti in precedenza si notano subito la doppia induttanza ed il condensatore C1, che costituiscono la โcomplicazioneโ rispetto agli altri.
Una nota positiva rispetto al buck converter รจ che in questโultimo, se lโinterruttore va in cortocircuito, tutta la tensione in ingresso finisce sul carico, che ha molte probabilitร di subire danni; invece nel SEPIC, grazie al condensatore C1, la componente in continua del generatore viene bloccata e, in caso di guasto, la tensione in uscita va a zero proteggendo quindi i dispositivi alimentati.
Il funzionamento รจ comunque decisamente piรน complesso e merita unโanalisi dettagliata: iniziamo col considerare il funzionamento continuo (CCM) che si ottiene quando la corrente nellโinduttanza L1 non va mai a zero; anche qui la trattazione del funzionamento discontinuo verrร tralasciata.
In condizioni di stabilitร , la tensione media ai capi del condensatore C1 (VC1) รจ uguale alla tensione in ingresso (VIN). Poichรฉ il condensatore C1 blocca la componente continua, la corrente media attraverso di esso (IC1) รจ nulla, rendendo lโinduttanza L2 lโunica sorgente di corrente continua per il carico.
Quindi la corrente media che attraversa lโinduttanza L2 (IL2) รจ la stessa della corrente media sul carico e quindi indipendente dalla tensione in ingresso.
Analizzando le tensioni medie sul circuito possiamo scrivere:
VIN = VC1 + VL1 + VL2
e, poichรจ la tensione media VC1 รจ uguale a VIN:
VL1 = -VL2
Questo rende possibile avvolgere le induttanze su un unico nucleo, visto che lโequazione precedente dice che lโinfluenza dellโinduttanza mutua tra le due รจ nulla.
Non sarร il nostro caso, per problemi di reperibilitร di componenti, ma questo costituisce un grosso vantaggio a livello industriale.
Anche le correnti di picco nelle due induttanze saranno identiche in valore assoluto.
Le correnti medie possono essere quindi espresse da:
ID1 = IL1 – IL2
essendo la corrente media in C1 nulla.
Quando lโinterruttore รจ chiuso abbiamo la condizione rappresentata nella Fig. 8
La tensione in ingresso va a caricare lโinduttanza L1, mentre lโinduttanza L2 viene caricata dalla tensione di C1 che, come abbiamo detto, รจ pari alla tensione di ingresso, inizialmente.
Si noti che lโinduttanza L2 รจ caricata da una corrente di segno opposto alla L1 e quindi matematicamente scaricata (segno negativo), cosa da tener conto nelle operazioni.
Aprendo lโinterruttore otteniamo la situazione rappresentata nella Fig. 9: siccome lโinduttanza L1 rende impossibile una variazione istantanea della corrente, tutta la corrente che attraversa L1 dovrร forzatamente attraversare anche C1. La corrente in L2 continuerร a scorrere come in precedenza in direzione opposta, perรฒ questa volta attraversando il carico (linea rossa nello schema di Fig. 9). Quindi avremo una corrente negativa (IL1) che andrร a sommarsi alla corrente IL2.
Dalla Legge di Kirchoff applicata ai nodi si ottiene la relazione:
ID1 = IC1 – IL2
quindi la corrente al carico, ad interruttore aperto, viene fornita sia da L2 che da L1, mentre il condensatore C1 viene ricaricato da L1.
In sintesi:
โข a interruttore chiuso, la sorgente di alimentazione carica L1, mentre C1 carica L2;
โข a interruttore aperto, lโinduttanza L1 e la L2 alimentano il carico, mentre L1 ricarica C1.
La tensione su C1 puรฒ cambiare di segno durante le operazioni, quindi occorre inserire un condensatore non polarizzato come componente.
Il funzionamento del convertitore puรฒ essere visto come lโaccoppiamento di un convertitore boost composto da L1 e lโinterruttore, che generano una tensione VS1 superiore a quella di alimentazione, seguito da un convertitore buck che riduce la VS1 al valore richiesto.
Siccome la tensione ai capi di C1 รจ pari a VIN, come visto in precedenza, la tensione in uscita diventa:
VO = VS1 – VIN
Quindi se VS1 รจ minore del doppio di VIN la tensione in uscita sarร inferiore a quella in ingresso, in caso contrario sarร superiore.
Senza scendere ulteriormente in dettaglio, lโequazione che regola il rapporto tra tensione in ingresso ed in uscita รจ pari a:
nella quale D rappresenta il solito duty-cycle, ovvero il rapporto tra i tempi di interruttore chiuso sul tempo totale (aperto + chiuso).
Da qui si ricava:
Che mostra come la tensione in uscita รจ minore di quella in ingresso per D < 0,5 e maggiore per D > 0,5.
Le formule suesposte valgono, come sempre, in assenza di componenti dissipativi (resistivi) e/o non lineari (MOSFET, diodi ecc.) nel circuito, cosa non vera in pratica; ad esempio sono da considerare la caduta di tensione sul diodo, le resistenze degli avvolgimenti, lโESR del condensatore, eccetera, che contribuiscono sia a modificare leggermente la formula che a ridurre lโefficienza.
Calcolo dei componenti del convertitore
Per darvi la possibilitร di capire come calcolare ed eventualmente realizzare convertitori SEPIC con componenti e caratteristiche personalizzati, trovate qui sotto un foglio di calcolo realizzato in Open Office (lโapplicazione รจ Calc ed รจ compatibile anche con Libre Office) che permette il dimensionamento dei componenti di un convertitore SEPIC sulla base dei valori di correnti e tensioni in gioco.
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Calcolo SEPIC
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