Tesla Speaker: la bobina che suona

 

 

Gli esperimenti con l’alta tensione sono sempre molto interessanti e affascinanti, perché consentono di assistere a fenomeni fisici che peraltro sono repliche in laboratorio di quelli cui assistiamo in natura: un esempio per tutti sono i fulmini. In queste pagine vogliamo descrivervi un circuito nato per sperimentare gli effetti dell’alta tensione in sicurezza, assistendo a fenomeni suggestivi e istruttivi.

Il circuito permette di realizzare un bobina di Tesla in miniatura, la quale, generando l’alta tensione crea un piccolo fulmine che permette ad esempio di innescare l’accensione di una lampada a neon semplicemente avvicinandola alla bobina o ionizzare l’aria producendo l’odore caratteristico di tale gas.

La scheda prevede anche un ingresso audio che modula il generatore accendendo e spegnendo l’arco a ritmo di musica: l’audio, applicato all’ingresso modula anche l’ampiezza dell’alta tensione prodotta, agendo sull’effluvio elettrostatico causato dall’estremità del secondario del trasformatore d’alta tensione e trasformandolo in vibrazioni d’aria. Il circuito può quindi realizzare efficacemente quello che nella tecnica del suono è noto come altoparlante ad effluvio elettrostatico (o vento elettrico).
All’ingresso BF di cui dispone è possibile collegare il proprio smartphone, un lettore MP3, l’uscita audio del computer, ecc.

Schema elettrico della bobina di Tesla

 

 

Vediamo dunque di cosa si tratta e lo facciamo analizzando lo schema elettrico del generatore d’alta tensione qui proposto, perché è di questo che si tratta; il circuito sviluppa una tensione pulsante a una frequenza determinata da quella di oscillazione dell’oscillatore a transistor (formato da un MOSFET a canale N e da un BJT NPN) su cui si basa.

Con riferimento allo schema elettrico, spieghiamone il funzionamento partendo dall’instante in cui si fornisce l’alimentazione: inizialmente, tanto il MOSFET Q1 (un IRF530 da 100 V di Vdso e 30A di corrente di Drain) quanto il BJT Q2 (un NPN di tipo TIP41, da 100 V di Vceo e 40W di potenza massima dissipabile) sono in stato di interdizione, ma poi il condensatore C2, che supponiamo scarico all’accensione del circuito, porta a massa il source del MOSFET e fa fluire corrente nel partitore R1-R3 di alimentazione del gate del Q1 (proveniente dal positivo di alimentazione del circuito) che scorre verso massa attraversando il condensatore C1. L’IRF530 passa quindi in stato di ON e alimenta lo stadio sottostante facente capo al transistor NPN, dove la resistenza R4 polarizza il LED rosso LED1, ai cui capi si trova una tensione sufficiente a polarizzare la giunzione base-emettitore del Q2.

A questo punto il transistor passa dall’interdizione alla saturazione e il potenziale del suo collettore, come quello sul capo superiore del primario del trasformatore di Tesla, si porta a un potenziale inizialmente di poco superiore a quello di massa, mentre il gate del MOSFET viene mantenuto all’incirca al potenziale della linea di alimentazione positiva del circuito; tale condizione manda il Q1 in stato di ON e il source di quest’ultimo eroga alla bobina e al TIP41 tutta la corrente di cui è capace (è come un interruttore che si apre) cosicché ai capi del primario L1 si determina un impulso di tensione la cui ampiezza è circa 1,5 V meno della tensione con cui il circuito viene alimentato.

L’impulso così applicato al primario induce nel secondario del trasformatore (L2) un impulso analogo di polarità opposta e tensione pari al rapporto tra le spire, ovvero L2/L1; più esattamente, la tensione generata (Vht), che è impulsiva, avrà ampiezza pari a:

Vht = VL1 x L2/L1

dove VL1 è la tensione che il TIP41 determina ai capi del primario. Ammettendo di alimentare il circuito a 13,5Vcc, essa vale circa 12V e se per il primario avvolgiamo due spire, lavoreremo a 6V/spira, quindi con il secondario che è formato da 350 spire, avremo sei volte tanto: 2,1 kV, ossia 2.100 volt!

Se con l’alimentazione saliamo fino a 20Vcc, la tensione ai capi del primario si attesterà su circa 18V e, lavorando stavolta a 9V/spira, la differenza di potenziale ai capi del secondario si spingerà fino a 3,15 kV. Volendo far salire ulteriormente la tensione generata al secondario del trasformatore è possibile scendere con il numero delle spire del primario ad appena una: in questo caso le tensioni teoricamente raddoppiano; il raddoppio è teorico perché cresce la corrente e con essa le cadute nel transistor e nelle piste del circuito stampato, senza contare che con una sola spira, il flusso magnetico è distribuito meno uniformemente nella bobina. Nelle foto del prototipo, vedete che per il primario abbiamo utilizzato una sola spira.

Ciò detto, proseguiamo con l’analisi circuitale: dopo che Q2 ha alimentato la bobina, il BJT NPN si interdice per effetto del calo della tensione sulla sua base, in quanto a regime, ossia esaurito il transitorio di carica dell’induttanza rappresentata dalla bobina L1, la differenza di potenziale tra drain e source del MOSFET (che funziona da interruttore statico) diviene insufficiente a mantenerlo in stato di ON. Quindi Q1 tende a interdirsi, privando Q2 e l’induttanza dell’alimentazione; quest’ultima tende a reagire mantenendo per qualche istante la corrente di regime e generando un’extratensione inversa, che viene neutralizzata dal diodo di protezione interno al MOSFET.

Nel momento in cui Q1 si spegne, la tensione che arriva alla base del BJT è sufficiente a mandare quest’ultimo in conduzione e ad alimentare con un nuovo impulso di corrente la bobina, ricominciando il ciclo già descritto.
Si instaura così un fenomeno ciclico che determina ai capi del secondario impulsi d’alta tensione di pari frequenza rispetto a quelli ai capi del primario; inoltre quando il Q2 è in saturazione, idealmente L1 si trova in parallelo a C2 e ciò determina un breve fenomeno oscillatorio che incrementa il picco di tensione generato dalla bobina di Tesla, consentendo di ottenere ben di più dei valori teorici calcolati, ovvero tensioni al secondario che raggiungono migliaia di volt (la corrente rimane ridottissima).

Tramite la resistenza R5 viene alimentato il LED LD2, che indica, accendendosi, quando il circuito è in funzione; un secondo LED è posto nel circuito dell’avvolgimento secondario e si accende quando lo stesso produce la scarica.

Ciò detto, vediamo come si può realizzare la modulazione dell’alta tensione da parte di un segnale variabile in bassa frequenza come è quello audio prelevabile da un riproduttore MP3, un radioricevitore, uno smartphone ecc.; tale segnale va introdotto attraverso il jack stereo 3,5 mm presente nel circuito (e siglato J2), del quale viene portato a massa uno dei canali, mentre l’altro non è connesso. Invece la massa del connettore è collegata all’elettrolitico C1, che disaccoppia in continua la fonte di segnale audio dal circuito, lasciando transitare la tensione variabile costituente il segnale stesso.

L’inversione dei collegamenti rispetto a ciò che sembrerebbe logico è stata voluta per evitare che la massa dell’ingresso audio sia accoppiata in continua al circuito, giacché normalmente l’involucro e lo schermo dei vari connettori (per esempio nel caso di uno smartphone o tablet) è collegato a massa. Questo evita di entrare in contatto con il circuito toccando l’apparecchio che gli invia il segnale BF; la separazione è stata voluta anche perché se si connette un PC o altro apparato BF alimentato con la rete elettrica a 230 Vca, è verosimile che l’involucro di questa sia collegato a terra e siccome nel nostro circuito il segnale viene applicato ad un punto intermedio dell’alimentazione, è bene che la massa non sia accoppiata in continua, onde evitare giri di terra, con le inevitabili conseguenze.

Quando all’elettrolitico C1 si applica un segnale variabile nel tempo, lo stesso passa sul gate del MOSFET sovrapponendosi alla tensione di polarizzazione e determinando una variazione della polarizzazione stessa in analogia con l’andamento del segnale; ne deriva un’alterazione analoga della corrente erogata allo stadio composto dal Q2 e quindi una modulazione dell’ampiezza della tensione al primario L1, cui segue una variazione di pari passo ai capi del secondario d’alta tensione.

Se il filo libero del trasformatore scarica nell’aria, il vento elettrostatico che produce si sposta analogamente al variare dell’ampiezza del segnale audio, tanto che connettendo tale filo (ovviamente a circuito spento!!) a una piastra metallica questa può riprodurre il suono corrispondente al segnale applicato all’ingresso audio, ossia al jack J2.
L’intero circuito si alimenta tramite il connettore di alimentazione J3 o il jack DC siglato J1 (i due sono in parallelo tra loro).

 

Caratteristiche tecniche

- Tensione di alimentazione: 12÷24Vcc
- Corrente massima assorbita: 2A
- Alta tensione generata: 2,1 kV a 13Vcc
- Dimensioni: 76 x 80 x 40mm
- Ingresso audio: jack da 3,5mm
- Max ampiezza segnale audio: 2 Veff.

 

Realizzazione pratica

La realizzazione pratica si riferisce al kit MINITESLAKIT che trovate qui a fianco. Iniziate il montaggio dei componenti partendo dalle resistenze e proseguendo con il jack audio, il condensatore non polarizzato C2 e l’elettrolitico C1, il jack d’alimentazione J1 e il connettore d’alimentazione J3 (se preferite alimentare il circuito da quello); montate poi i due LED e quindi, tenendoli in piedi e ciascuno orientato con il lato metallico verso l’esterno del PCB, il MOSFET IRF530 e il transistor NPN TIP41, cui applicherete un dissipatore da 13 °C/W ciascuno interponendo della pasta al silicone per facilitare lo smaltimento del calore prodotto durante il funzionamento.

Dal secondario HT (alta tensione) raschiate delicatamente con la lama di un coltello o di una forbice lo smalto dalle estremità (avete rimosso lo smalto quando il filo cambia di colore, divenendo più rosa che giallastro) in modo da togliere l’isolante e facilitare la saldatura del capo che va sul PCB (piazzola L2), ovvero il contatto del capo che rimarrà libero con elettrodi quali ad esempio una sfera di metallo.

Per il primario dovete avvolgere una o due spire con del filo elettrico unipolare rigido da 0,5 mm di diametro, direttamente sopra il secondario HT; non serve filo di rame smaltato e se il filo è in guaina, è meglio. I capi del primario vanno poi saldati nelle rispettive piazzole del PCB, che sono siglate L1.

Una volta completati gli avvolgimenti del trasformatore, dovete fissare il tutto sul circuito stampato incollando la base del supporto mediante cianoacrilato (comunemente detto Attak) o del silicone sigillante; questo assicurerà la stabilità del trasformatore ed eviterà che possa cadere sul resto del circuito, scaricando l’altissima tensione sui componenti e causando danni.

Il circuito stampato, per l’utilizzo, andrà posto su una base in materiale isolante, quindi legno secco o plastica, in modo che nessuna delle sue piazzole tocchi parti o piani in metallo. Potete anche pensare a un contenitore in plastica da cui far fuoriuscire la parte alta del trasformatore e il capo libero del secondario, in modo da favorire la scarica o da poterlo connettere a un corpo conduttore da cui vorrete far partire l’effluvio elettrostatico.

Piano di montaggio

Elenco componenti

C1: 1 µF 50 VL elettrolitico 
C2: 1 µF ceramico
R1: 10 kohm 1% 
R2: 2 kohm 1% 
R3: 2 kohm 1% 
R4: 10 kohm 1% 
L1: vedi testo
L2: vedi testo
Q1: IRF530 
Q2: TIP41 
LED1: LED 3mm rosso 
LED2: LED 3mm rosso 
J1: Plug alimentazione 
J2: Connettore Jack stereo 3,5mm 
Varie:
- Dissipatore (2 pz.) 
- Vite 10 mm 3 MA (2 pz.) 
- Circuito stampato S1388 (77x40 mm)

 

Sperimenta, ma con attenzione!

Il circuito funziona ad alta tensione e il suo utilizzo richiede quindi le cautele del caso: quando è in funzione e nei primi minuti dopo lo spegnimento, non toccate lo stampato né altri componenti,
ad evitare di prendere una scossa che per i più è solo dolorosa ma che per un cardiopatico può essere pericolosa.
Non mettere telefoni cellulari, lettori MP3 e altre apparecchiature elettroniche vicino alla bobina, perché quest’ultima genera un campo elettromagnetico ad alta frequenza che potrebbe provocare interferenze e danneggiarli. Per quanto la corrente che il trasformatore può rilasciare sia bassissima (intorno al milliampere) la tensione sviluppata è molto elevata e potrebbe dare una scossa dolorosa; avvicinarsi all’estremità libera del secondario e a qualsiasi corpo collegato ad essa può far partire la scarica verso di sè e questo fenomeno potrebbe dare una sensazione di bruciore.
Dopo un utilizzo prolungato, non dovete toccare il dissipatore di calore del transistor TIP41 e del MOSFET, perché la temperatura che possono assumere è molto elevata, soprattutto se il circuito lo alimentate a 24V.

Avvicinando un tubo o lampada a neon, questa si accende quasi per magia.

Cosa ci possiamo fare?

Bene, passiamo adesso alla parte più interessante del progetto, ossia a sperimentare con il generatore d’alta tensione: procuriamoci un alimentatore da rete che fornisca all’uscita una tensione continua di 15V, che possa erogare una corrente di 2 ampere e che disponga di un cavetto terminante con un jack coassiale avente diametro adatto alla presa jack DC del circuito. La polarità del connettore su scheda è positiva sul polo centrale e negativa su quello esterno, quindi il jack dell’alimentatore dovrà essere tale.

Il filo di estremità del secondario rimasto libero va portato in fuori in modo che alimentando il circuito produca un alone luminoso dovuto alla scarica a corona che causa la ionizzazione dell’aria e può arrivare alla conseguente produzione d’ozono; dal filo si rilascia l’effluvio elettrostatico, visibile come un alone a cono con luce molto intensa in prossimità del filo e sfumata man mano che ci si allontana. All’emissione della scarica sarà associato un rumore caratteristico simile a un soffio ritmico; i due fenomeni saranno maggiormente accentuati se la massa del circuito verrà collegata a un’estesa lamina metallica posta sul piano d’appoggio del generatore, fermo restando che essa dovrà rimanere distante almeno una decina di centimetri dall’elettrodo libero del secondario del trasformatore.

Mettendo una sfera metallica in cima al trasformatore, ovvero appoggiandola al supporto degli avvolgimenti dopo aver ripiegato l’estremità libera del secondario d’alta tensione in modo da farla stare tra la cima del supporto e la sfera (che la schiaccia) la stessa rilascerà la carica elettrostatica in maniera uniforme e al buio sarà possibile vederle attorno un tenue alone azzurro.
Avvicinando una lampadina al neon o una a risparmio energetico (purché basata su tubo al neon) la vedremo illuminarsi, sia pure più debolmente di come si illuminerebbe se venisse alimentata normalmente: tale fenomeno è dovuto alla ionizzazione del gas contenuto nella lampadina, ad opera del campo elettrico generato dal trasformatore.

Applicando all’ingresso audio il segnale di una fonte BF possiamo modulare l’effluvio elettrostatico e ottenere dalla sfera o da una placca metallica il suono corrispondente: prendiamo dunque un cavetto audio stereo avente alle estremità due jack da 3,5 mm e inseriamo un capo nella presa di uscita audio di un lettore MP3 o di uno smartphone, tablet o PC nel quale siano memorizzati brani audio, poi l’altro jack inseriamolo nella presa del circuito, che manterremo spento fino a quando avremo fatto i collegamenti. Avviamo la riproduzione e accendiamo il generatore d’alta tensione: variando il volume potremo sentire il debole suono generato dalla modulazione dell’effluvio elettrostatico (ossia del vento elettrico) ad opera del segnale ad audiofrequenza. Resta inteso che nell’uso non bisogna avvicinare troppo l’orecchio -per cercare di sentire il suono- alla bobina o alla parte metallica applicata, altrimenti è facile prendere una scossa, che seppure teoricamente innocua, risulta dolorosa.

Se non sentite bene, alzate il livello del segnale d’ingresso. A riguardo precisiamo che la sensibilità dell’input audio è di un paio di volt, nel senso che si possono applicare segnali ampi anche 5,7Vpp; anzi, l’ingresso è abbastanza “duro” da attivare e sicuramente servono segnali ampi, come ad esempio quelli di uscita di apparati che pilotano altoparlanti da alcuni watt.

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